da QPA.it

di Rodolfo Murra

Un  docente campano di educazione fisica da circa 23 anni, che aveva frequentato un corso di specializzazione polivalente conseguendo il diploma di specializzazione polivalente, sul presupposto di aver prestato servizio presso vari istituti come insegnante di sostegno ed avendo maturato 360 giorni di servizio su posti di sostegno di cui al decreto n. 21 del 9 febbraio 2005, con il quale il MIUR aveva indetto i corsi speciali universitari, di durata annuale, ai fini del conseguimento dell’abilitazione o dell’idoneità all’insegnamento, aveva avuto accesso alla sessione riservata agli esami ed aveva conseguito l’abilitazione nel novembre del 2006.

 

Tuttavia l’Amministrazione aveva in seguito accertato che, a seguito di verifica sul diploma sopraccitato, che l’insegnante non aveva in realtà mai ottenuto il diploma di specializzazione polivalente per il sostegno. A seguito di ciò i singoli istituti scolastici presso i quali egli aveva prestato servizio avevano adottato i provvedimenti di annullamento del servizio, in quanto non risultante in possesso del titolo di specializzazione polivalente dell’attività di sostegno.

Appresa la notizia della mancanza del diploma, il docente aveva presentato denuncia-querela nei confronti dei referenti del corso da egli frequentato (all’esito del quale gli era stato rilasciato il diploma di specializzazione polivalente), con relativi timbri dell’Istituto paritario e del Provveditorato agli Studi competente.

Ciò nonostante l’Ufficio Scolastico Regionale competente aveva adottato il provvedimento di revoca dell’abilitazione nonché il depennamento dalle graduatorie per le classi di concorso interessate, costringendo l’interessato a proporre ricorso al TAR.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, considerando che avverso le attestazioni provenienti all’Amministrazione scolastica, che presupponevano l’inesistenza del titolo di studio in parola (diploma di specializzazione polivalente per l’insegnamento di sostegno), l’insegnante non aveva proposto querela di falso.

Il Supremo Consesso amministrativo ha respinto il gravame con sentenza n. 2257 del 5 aprile 2019 .

Ha infatti ritenuto il Collegio di appello che, con il dictum circa la mancata presentazione della querela di falso avverso le attestazioni in questione, il T.A.R. non abbia, in realtà, voluto dire nient’altro che l’interessato non ha contestato efficacemente l’affermazione della falsità del diploma di specializzazione polivalente attestata dall’Istituto scolastico, circostanza che non può ritenersi essere negata convincentemente, deducendo l’appellante stesso di essere stato truffato ed esponendo egli che la circostanza che il titolo, pur avendone dal punto di vista formale tutti i requisiti di uno autentico, non sia vero sarebbe un fatto, sul quale egli oggi non potrebbe più incidere.

Dette attestazioni, infatti, hanno senz’altro il valore di provare il fatto in essi enunciato, ancorché provenienti in origine da un soggetto privato, dal momento che sono comunque il risultato in un’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione e, nell’ambito del diritto amministrativo, non opera alcuna preclusione di utilizzare fonti di prova non derivanti direttamente da altre Amministrazioni.

Nella specie, inoltre, in virtù del principio dell’indipendenza tra processo penale ed amministrativo, non era nemmeno necessario sospendere il giudizio dinanzi al giudice amministrativo in attesa della definizione del processo penale, scaturito dalla citata querela, potendo i fatti essere accertati in piena autonomia dal giudice amministrativo in base alle fonti di prova a sua disposizione, non sussistendo alcuna pregiudizialità del processo penale rispetto a quello amministrativo.

Il fatto che l’appellante fosse da considerare vittima e non artefice del falso e che egli avesse sempre agito in buona fede, invece, non toglie che l’Amministrazione sia stata indotta in errore, in quanto nell’ambito del procedimento amministrativo, l’acclarato falso rileva sotto il profilo meramente oggettivo, senza che sia necessario che il soggetto presentatore della dichiarazione/attestazioni falsa sia parte attiva del falso o che gli abbia agito in mala fede.

Inoltre il Consiglio di Stato ha rilevato di non poter attribuire alcuna efficacia sanante, rispetto al diploma mancante ab origine, il fatto che l’interessato abbia prestato effettivamente servizio per più di un decennio e che egli abbia superato l’esame di abilitazione, dal momento che tali elementi non fanno venire meno la situazione di illegittimità accertata.

Sotto altro profilo il Collegio ha osservato che, nell’ambito del procedimento amministrativo, l’induzione in errore dell’Amministrazione a causa dell’esibizione di documenti attestanti fatti non corrispondenti a verità o di dichiarazioni sostitutive false circa l’esistenza delle circostanze di cui il documento è destinato a provare la sussistenza, opera sul piano meramente oggettivo, sicché è irrilevante la ricorrenza dell’elemento soggettivo in capo al privato. La pretesa buona fede dell’interessato non fa quindi venire meno che l’Amministrazione abbia agito in virtù di una falsa rappresentazione di un fatto presupposto per l’adozione del provvedimento, successivamente rilevatosi non legittimo, con la conseguenza che l’errore in cui è incorsa appare sufficiente di per sé affinché essa possa rimuoverlo in via di autotutela, senza che sia necessaria alcuna indagine sulla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al soggetto presentatore del documento o della dichiarazione.

Né è stato ritenuto di meritevole apprezzamento l’argomento per cui la sentenza di primo grado avrebbe ignorato l’elemento dell’affidamento incolpevole dell’appellante in virtù del lungo lasso di tempo trascorso.

Ha sottolineato infatti il Collegio che, nella specie, il tempo trascorso non abbia alcuna rilevanza, dal momento che l’affidamento dell’interessato non può essere qualificato come legittimo. Nel caso in esame, il privato ha confidato nel consolidamento della sua posizione, in assenza di un titolo mancante ab origine, sicché l’affidamento su cui riteneva di poter contare, non esplica alcun effetto, ancorché la mancanza fosse stata accertata soltanto a distanza di anni, allorché l’Amministrazione si è poi immediatamente attivata porre rimedio alla situazione illegittima. La circostanza che l’affidamento non si possa considerare legittimo non viene nemmeno meno per il fatto che l’appellante fosse in buona fede, dal momento che l’elemento soggettivo appare del tutto privo di significato sul piano amministrativo.

La rimozione degli atti su cui si fonda detto affidamento non presuppone, poi, alcun ulteriore interesse pubblico ulteriore a quello del ripristino della legalità, che deve ritenersi concreto ed attuale e rispetto al quale l’interesse del privato alla conservazione del posto di lavoro deve considerarsi indubbiamente recessivo, per cui non appare nemmeno necessario che l’Amministrazione proceda ad alcuna comparazione degli interessi. Per gli atti di rimozione non deve, quindi, ritenersi sussistente alcun particolare obbligo di motivazione, essendo l’interesse pubblico in re ipsa