da Quotidiano delle PA

di Roberto Murra

Negli anni novanta una insegnante elementare in servizio presso un plesso scolastico toscano veniva fatta oggetto di “attenzioni” reiterate da parte di un genitore di un alunno, il quale a partire da una riunione nella quale aveva apostrofato come “mostro” la maestra, aveva poi inviato missive e fax al Direttore dell’Istituto utilizzando espressioni gravemente offensive nei riguardi della donna. La quale, a seguito di tali continui attacchi, subiva una serie di conseguenze pesantissime (sottoposizione a visita psichiatrica, imputazione in un processo penale per reati di maltrattamenti e lesioni – dai quali è stata assolta – la sospensione dal servizio ed il trasferimento presso altra sede, ecc.).

 Nel settembre del 1998 la maestra agiva quindi in giudizio dinanzi al Tribunale civile per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Il giudice adito rigettava la domanda non ravvisando, nel contegno tenuto da quel genitore, un comportamento diffamatorio e ritenendo che i pregiudizi subiti non fossero una diretta conseguenza delle azioni poste in essere da costui. Anche la Corte d’appello di Firenze, che nel 2014 rigettava il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, la pensava come il Tribunale, rilevando che dagli atti risultava, più che un comportamento offensivo della reputazione della insegnante, quanto piuttosto "l'esistenza di due fronti contrapposti tra i genitori", a favore o contrari ai metodi educativi della maestra, oltre ad atteggiamento fortemente critico, non solo del convenuto ma anche di altri genitori.

L’insegnante proponeva ricorso per cassazione (deducendo la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.) veniva accolto dalla III Sezione con ordinanza n. 9050 del 12 aprile 2018.

I giudici di legittimità hanno severamente sanzionato il contegno tenuto dai colleghi del merito, osservando che costoro sul piano generale di valutazione della prova hanno violato il principio secondo il quale, al cospetto di una pluralità di fatti storici, ciascuno portatore di una propria, singola valenza indiziaria, il giudice non può procedere alla relativa valutazione attraverso un procedimento logico di scomposizione atomistica di ciascuno di essi, per poi svalutarne, singolarmente e frammentariamente, la relativa efficacia dimostrativa.

Infatti, la concordanza indiziaria di ciascuno dei fatti acquisiti al processo ne postula l’imprescindibile necessità di una compiuta analisi di tipo sintetico, all'esito di un ragionamento probatorio complesso e sincronico, non potendo evidentemente predicarsi alcuna "concordanza" di ciascun indizio a se medesimo, se la valutazione non segue il necessario percorso logico dell'analisi per sintesi e non per somma (per di più, inammissibilmente scomposta). Proprio in questo errore di diritto è incorso, secondo la Corte di cassazione, il giudice di appello, adottando, conseguentemente, una motivazione la cui insanabile ed intrinseca contraddittorietà è destinata a dissolversi oltre il limite dell'apparenza. La corretta applicazione della regola probatoria dianzi esposta, difatti, avrebbe inevitabilmente condotto all'approdo di una ben diversa decisione, una volta che la condotta denigratoria ascritta a quel genitore ebbe diacronicamente a dipanarsi attraverso una serie di atti e comportamenti univocamente e pervicacemente intesi a ledere l'onore, il prestigio e la stessa dignità dell'insegnante.  A tale evidente conclusione avrebbe dovuto condurre una più attenta e approfondita valutazione dei fatti di causa, svolta secondo un procedimento logico-induttivo fondato sulla complessiva sinergia dimostrativa e sulla necessaria sintesi dei fatti di causa.

Le conseguenze, gravissime, della condotta tenuta da quel genitore — l'essere stata l'insegnante sottoposta a visita psichiatrica; l'essere stata imputata di gravi reati; l'essere stata sospesa dal servizio; l'essere stata trasferita ad altra sede – le cui accuse si sono poi dissolte in una pronuncia del giudice penale di insussistenza dei fatti contestati non sono scriminate né sminuite, come erroneamente mostra di ritenere il giudice d'appello, nella scia del convincimento del tribunale, né dalla circostanza che anche altri, insieme al resistente, avrebbero contribuito alla verificazione degli eventi (tale affermazione ponendosi in evidente e irredimibile contrasto con il dettato dell'art. 41 del codice penale, in tema di con-causalità dell'evento), né dalla accertata diacronia delle condotte - il cui dipanarsi nel tempo costituisce non una scriminante ma, di converso, un aggravante della condotta stessa - né tantomeno "dall'ormai conclamata dimensione collettiva e pubblica" dei fatti, ovvero dalla "autonoma risonanza" che la vicenda avrebbe assunto con lo scorrere del tempo. Ciò che quindi secondo la Corte risulta essere stata del tutto omessa, nel decisum del giudice di appello, è pertanto la valutazione necessariamente diacronica e complessivamente sintetica dei fatti di causa, secondo un percorso ricostruttivo “condotta causalità-evento-danno” che non avrebbe potuto che concludersi nella certa affermazione della responsabilità risarcitoria del resistente per aver violato la reputazione, l'onore, la stessa dignità dell'insegnante, così ledendo valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale.

Nella parte finale del provvedimento la Corte non ha, poi, voluto far mancare un apporto di tipo "pedagogico", spiegando che, pur non essendo compito della giurisdizione sindacare, sul piano etico e sociale, il comportamento dei consociati in una determinata epoca storica (poiché il processo civile, ed in particolare quello avente ad oggetto vicende di responsabilità civile, è funzionale ad offrire precise risposte, rigorosamente circoscritte al piano del diritto), a singole vicende che riguardano singole persone che chiedono tutela al giudice: tuttavia, il giudice civile, nella valutazione e liquidazione del quantum debeatur, non può e non deve ignorare - quasi che la dimensione della giurisdizione si collochi entro un asettico territorio di pensiero tanto avulso dal reale, quanto insensibile ai mutamenti sociali e culturali in cui essa viene esercitata - "il preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non soltanto verbale, nel quale vivono oggi coloro cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni". 

Il processo deve quindi riprendere dal secondo grado, i cui magistrati saranno tenuti ad applicare le regole dettate nell'ordinanza in commento e pervenire alla quantificazione del risarcimento spettante alla maestra