Il 16 ottobre 1943 è una data importante per la comunità ebraica di Roma, ma anche per la città intera. Per gli ebrei romani è l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. Tra queste due date esiste un profondo legame: per molti ebrei romani infatti le leggi razziali hanno rappresentato l’anticamera dei campi di sterminio nazisti. Il 1938 è un anno cruciale. La vita cambia in tutti i suoi aspetti, pubblici e privati. È una svolta che coinvolge tutti gli ebrei, dai bambini agli anziani, da chi nasce a chi muore.

 

Dal 1938, infatti, “ufficialmente” gli ebrei non muoiono più in Italia: è vietata anche la pubblicazione dei necrologi sui giornali. Dal 1938 gli ebrei in Italia devono diventare “invisibili”. Tuttavia, come avrebbe mostrato il 16 ottobre, gli ebrei erano molto visibili, facilmente reperibili: erano registrati in una lista, quindi perfettamente identificabili, per separare il loro destino dal resto della popolazione romana.

Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato.